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Hanno dovuto farlo nonostante il rischio imminente di annegamento, soffocamento per i fumi del gasolio, di disitratazione o di lesioni, o ancora di essere catturati e sottoposti ad abusi nei centri di detenzione illegali. Adesso, 4 membri dell'equipaggio della Iuventa sono accusati di “favoreggiamento dell'immigrazione illegale.”
L'equipaggio della Iuventa ha salvato più di 14.000 persone che viaggiavano su imbarcazioni insicure nel Mar Mediterraneo durante il 2016 e il 2017. Le persone in pericolo si erano messe in viaggio per superare una delle frontiere più mortali al mondo e trovare sicurezza in Europa.
A bordo della Iuventa, agosto 2016. Foto: Cesar Dezfuli

Le denunce mosse contro l’equipaggio della Iuventa sono legate a
tre diverse operazioni di salvataggio. Le relative accuse sono basate su vaste indagini sotto copertura che hanno coinvolto molteplici forze dell’ordine, supervisionate da un particolare ramo della magistratura italiana: l’antimafia siciliana. Le accuse sono gravi e prevedono una pena detentiva massima fino a 20 anni. Il dossier ammonta a quasi 29 mila pagine.

Nel frattempo, i soccorritori delle ong non sono i soli ad affrontare questo tipo di accuse.

Tra loro ci sono innumerevoli persone in movimento criminalizzate per aver aiutato altre persone in movimento che si trovavano in difficoltà o per essere state costrette a condurre imbarcazioni che le trasportavano via mare verso l’Europa. I tribunali greci sono soliti condannare i conducenti delle barche a una media di 44 anni di prigione e 370.000 euro di multa, in seguito ad udienze di circa 30 minuti. Le storie di queste persone sono raccontate raramente, e il loro coraggio altrettanto raramente celebrato.

In tutta Europa e oltre, da Lesbo a Calais, da Tangeri a Bardonecchia, dalla Valle della Roja in Francia alla Danimarca, centinaia di uomini e donne sono sotto processo per “crimini di solidarietà”. Per aver offerto cibo, riparo o vestiti a persone in movimento.

Prologo

La storia della migrazione è una storia di restrizioni alla circolazione di tutti tranne che di una élite bianca e ricca. A chi ha il passaporto giusto, la terra appare come una superficie liscia i cui confini solo in pochi possono attraversare senza sforzo. Per le persone con il passaporto "sbagliato", ogni frontiera porta con sé la minaccia di violenza, sfruttamento o morte.

Cambio di comando: Da Mare Nostrum a Triton

1. Missione Iuventa

Coperte di salvataggio stese ad asciugare sul ponte della Iuventa

Punto di svolta

Per anni, gli europei hanno guardato i loro politici trasformare il Mediterraneo in una fossa comune per gli indesiderabili d’Europa. Nel 2015, i leader hanno pubblicamente commemorato la perdita di vite umane in mare che essi stessi avevano contribuito a provocare. Facendo leva sui propri principi umanitari illuminati, hanno commemorato coloro che erano annegati come se la loro morte fosse stata la triste ma inevitabile conseguenza di una catastrofe naturale o della natura predatoria di trafficanti spietati. La loro ipocrisia
era insopportabile. Non volendo stare a guardare mentre le persone venivano lasciate morire per proteggere i nostri privilegi, alcuni hanno deciso di intervenire laddove i governi si erano rifiutati di farlo. Membri ordinari della società civile hanno così iniziato a
organizzare una risposta dal basso alla catastrofe che si stava verificando nel Mediterraneo.

2015 La crisi della protezione dei rifugiati / "L’estate della migrazione"

Le origini di Iuventa

Come altre ONG di soccorso, la Iuventa è stata un’azione diretta, di carattere umanitario, con lo scopo di salvare vite in mare.

Il mandato di salvare vite non mirava solo a garantire i diritti umani delle persone in movimento in mare. Il movimento di cui la Iuventa faceva parte cercava anche di mettere in pratica e di costruire un tipo di solidarietà dal basso che coinvolgesse le persone in movimento e gli europei. Per molti, queste mobilitazioni rappresentavano l’inizio di qualcosa che avrebbe cambiato la loro intera vita.

o A bordo

Per la Iuventa, portare in mare la tradizione di creare e intervenire direttamente nella politica (piuttosto che rivolgersi ai canali istituzionali) significava non solo salvare le persone in movimento, ma anche forgiare alleanze politiche che potessero contribuire a delineare una lotta collettiva sulla terraferma.

Nel corso di 16 missioni, l’equipaggio della Iuventa ha assistito 175 imbarcazioni e salvato 23.810 persone. La Iuventa ha ospitato a bordo oltre 14.000 persone e ne ha curate 4.800 da disidratazione, insufficienza circolatoria, ipotermia, ustioni chimiche, complicazioni della gravidanza, ecc.

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Bridge
Capitano

  • Responsabile di tutte le decisioni nautiche e tecniche
  • Comunica con le altre navi nelle vicinanze e con l'MRCC competente.
  • Comunica con le parti esterne, come le altre navi nelle vicinanze e l'MRCC competente.

Bridge
Capo Missione

  • Preparazione della missione, come l'assegnazione delle posizioni/la compilazione delle squadre, la formazione/il briefing/la strategia operativa.
  • Durante la missione lavora in stretta collaborazione con il Capitano / Direzione di coperta.
  • È responsabile della sicurezza dell'equipaggio e delle persone soccorse durante la missione.
  • Coordina e comunica con i mezzi SAR sul posto.

Bridge
Compagno di bordo

  • Lavora in stretta collaborazione con il Capitano e il Capo Missione.
  • Comunica con le parti esterne, come ad esempio le altre navi presenti nelle vicinanze.
  • Introduce l'equipaggio ai sistemi di sorveglianza e alle misure di sicurezza a bordo.
  • Addestra l'equipaggio all'arte marinaresca di base, all'addestramento alle emergenze
Crediti: video modificato di Architettura Forense

Durante le 16 missioni, la Iuventa è stata gestita da oltre 200 volontari. Essere volontari a bordo significava rimanere in mare per almeno 2 settimane, oltre a intense giornate di formazione e briefing per familiarizzare con il nuovo ambiente, per alcuni del tutto sconosciuto. Molti trascorrevano le ferie annuali a bordo della nave. Nessuno veniva pagato. Solo le spese di viaggio venivano rimborsate; vitto e alloggio erano forniti a Malta e sulla nave. Metà dell’equipaggio era composto da marinai professionisti; gli altri avevano poca o addirittura nessuna esperienza in mare, ma costituivano il personale non tecnico cruciale a bordo: il responsabile di coperta organizzava la gestione delle persone durante la permanenza a bordo di coloro che erano stati soccorsi; il medico di bordo, affiancato da un dottore, teneva sotto controllo le condizioni mediche dell’equipaggio e delle persone soccorse, fornendo le cure necessarie. Sottocoperta, gli ingegneri gestivano il motore principale della nave, i generatori, le pompe, i compressori, la gru e gli argani.

"Come attivista politico di lunga data, ho intrapreso un'azione nel Mediterraneo centrale perché mi sembrava il modo più concreto per lottare contro la Fortezza Europa. Portare questa lotta nel Mediterraneo centrale era solo il logico passo successivo ai campi no border".Hendrik, RIB-Team

"Nemmeno i miei 20 anni di esperienza come capitano di chiatta potevano prepararmi a questo disastro causato dall'uomo nel Mediterraneo. Ma finché non potrò abolire il capitalismo, mi sembra ovvio che la cosa migliore sia quella di essere solidale con coloro che soffrono a causa del capitalismo".Dariush, Captain

"Sono un operatore di terapia intensiva, il che mi ha preparato all'assistenza medica a bordo, ma non ero mai stata su una nave prima d'ora. Come attivista che crede nel principio della libertà di movimento, mi è sembrato logico unirmi alla Iuventa in segno di solidarierà con le persone in movimento". Lea, Medico

Gli equipaggi erano composti da persone di ogni estrazione sociale, legate dall’urgenza di intervenire e cambiare una situazione ritenuta inaccettabile. Il Mediterraneo centrale è stato ed è tuttora uno dei fronti chiave della lotta contro l’ingiustizia e lo sfruttamento. L’equipaggio della Iuventa ha voluto fare un’immediata e concreta differenza in questa lotta.
Migliaia di donatori hanno sostenuto le missioni della Iuventa, coprendo i costi di manutenzione della nave, i viaggi, il vitto e l’alloggio dell’equipaggio. Oltre al sostegno finanziario, i donatori, i familiari, amici e compagni hanno supportato nelle strade, nei campus universitari, nelle chiese e nei luoghi di lavoro, la campagna contro la strage nel Mediterraneo.

Anatomia di un salvataggio

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Rib
Driver

  • Ha la supervisione e il controllo della sicurezza del RIB e dell'equipaggio, nonché della sicurezza delle persone in pericolo.

Rib
Team Leader

  • Collabora strettamente con il Capo Missione e istruisce l'equipaggio del RIB in conformità alla procedura operativa standard.
  • Responsabile di decidere la strategia operativa sul posto
  • Responsabile della sicurezza dell'equipaggio e dei rifugiati durante le procedure operative.

Rib
Mediatore

  • Stabilisce un primo contatto con le persone in difficoltà, raccoglie informazioni rilevanti e mantiene la conversazione.
  • Dimostra l'uso di un giubbotto di salvataggio e lo distribuisce.
A bordo della Iuventa, agosto 2016. Foto: Cesar Dezfuli

Anatomia di un salvataggio

La missione della Iuventa era semplice: salvare le persone quando possibile, e offrire un riparo quando necessario. Il cosiddetto concetto di “SAR proattivo” era tanto semplice quanto efficace. Comportava:

– Cercare attivamente imbarcazioni in difficoltà, navigando lungo le rotte in cui è probabile che si verifichino situazioni di pericolo, essere reperibili 24/7 e pronti a intervenire non appena a conoscenza di un caso
– Mettere in sicurezza le persone in difficoltà il più rapidamente possibile utilizzando salvagenti, scialuppe di salvataggio, dispositivi di galleggiamento e prendendo a bordo il maggior numero di persone possibile
– Trattare le lesioni potenzialmente letali
– Identificare le persone particolarmente vulnerabili e prendersene cura in maniera adeguata
– Essere pronti ad improvvisare

Al momento dell’operazione, sei erano i passaggi fondamentali per effettuare il salvataggio di un’imbarcazione in difficoltà nel Mediterraneo centrale:

1.Il ponte di comando riceve una chiamata dal Centro Italiano di Coordinamento del Soccorso Marittimo (IMRCC), da un altro mezzo di soccorso civile o dagli appositi avvistatori della nave che li avvisano di un’imbarcazione in pericolo nella zona.

2. Quando la nave cambia rotta in direzione della nave da soccorrere, l’equipaggio pianifica l’avvicinamento e prepara le attrezzature necessarie.

3. Quando la nave si trova nel raggio d’azione dell’imbarcazione in difficoltà, i gommoni di salvataggio (RIBs) vengono inviati a stabilire un primo contatto con le persone in movimento e raccogliere le informazioni necessarie per il soccorso come le condizioni dell’imbarcazione, il numero di persone ferite, le persone vulnerabili, altre eventuali imbarcazioni in difficoltà nella zona, ecc.

4. L’equipaggio del RIB distribuisce i salvagenti alle persone a bordo dell’imbarcazione in difficoltà

5. L’equipaggio provvede a trasferire le persone sulla Iuventa.

6. La Iuventa organizza un rendez-vous con un’imbarcazione più grande e trasborda le persone salvate su tale imbarcazione. L’equipaggio pulisce la nave e si prepara per il prossimo salvataggio.

La Iuventa forniva un “luogo sicuro temporaneo” per le persone in movimento che attraversavano il Mediterraneo. Ma ciò che minacciava le autorità non era il fatto che la Iuventa salvasse le vite delle persone in movimento, bensì che si accertasse che queste persone non venissero riportate in Libia.

Tuttavia, una volta arrivati in Italia, l’UE li ha delusi di nuovo: alla maggior parte non è stato permesso lasciare l’Italia per richiedere asilo in un Paese a loro scelta. In Italia, questo ha alimentato il rancore sia nei confronti delle persone in movimento che contro quelli che agivano in solidarietà con loro. Nonostante gli sforzi di attivisti e ONG, che hanno esercitato pressioni politiche sui rispettivi governi affinché accogliessero le persone in movimento, l’Unione europea ha insistito per aderire all’obsoleto e ingiusto accordo di Schengen.

[foto PLOTTER]

Schema di ricerca visualizzato sul plotter cartografico della Iuventa; da osservare dal basso verso l’alto: Costa libica; prima linea = 12mn, fine delle acque territoriali libiche; seconda linea = 15nm, punto più a sud per la ricerca e il salvataggio; rotta della Iuventa; terza linea = 24nm

Il ponte di comando riceve una chiamata dal Centro Italiano di Coordinamento del Soccorso Marittimo (IMRCC), da un altro mezzo di soccorso civile o dagli avvistatori della nave, che segnalano la presenza di un’imbarcazione in difficoltà nella zona.

Mentre la nave cambia rotta in direzione dell’imbarcazione di migranti, l’equipaggio pianifica l’avvicinamento e prepara l’equipaggiamento necessario.

Quando la nave naviga nel raggio d’azione del gommone dei migranti, i gommoni vengono lanciati per stabilire un primo contatto con i migranti e raccogliere tutte le informazioni necessarie per l’operazione di salvataggio, come le condizioni dell’imbarcazione, il numero di feriti, le persone vulnerabili, altre imbarcazioni potenzialmente in difficoltà nella zona, ecc.

L’equipaggio del RIB distribuisce salvagenti alle persone migranti sul gommone.

L’equipaggio imbarca le persone sulla Iuventa.

La Iuventa organizza un rendez-vous con una nave più grande e trasborda i migranti salvati su quella nave. L’equipaggio pulisce la nave e si prepara per il prossimo salvataggio.

Cooperazione La piena collaborazione con il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC) competente e con tutte le unità di ricerca e soccorso coinvolte nell'area è una questione sia di principio che di necessità ed è parte integrante di ogni missione di soccorso. La Iuventa non si è mai discostata dal suo impegno per una completa trasparenza, una piena collaborazione e il totale rispetto delle istruzioni del Centro Italiano di Coordinamento del Soccorso Marittimo (IMRCC).

Gli incontri della Iuventa in mare

Le persone lasciano le loro case per una serie di motivi. La maggior parte è costretta a migrare perché i loro mezzi di sostentamento sono stati distrutti da guerre, sfruttamento delle risorse, cambiamenti climatici e ingiuste relazioni economiche e commerciali sviluppate nel corso dei secoli. Ognuna delle persone soccorse ha una storia diversa. Ma hanno una cosa in comune: tutte hanno dovuto affrontare la brutalità della Fortezza Europa per raggiungere la salvezza. Hanno affrontato questa brutalità prima nel Mediterraneo e poi negli infiniti ostacoli alla legalità sanciti dalla politica europea in materia di asilo. Oggi, alcuni di loro non solo sono minacciati dal rischio di deportazione, ma devono anche affrontare procedimenti penali per il semplice fatto di essere emigrati.

Qui vengono presentate tre delle persone salvate, con le quali l’equipaggio è riuscito a mantenere contatti dopo il primo incontro a bordo della Iuventa.

Abdulraman
Abdulraman a bordo della Iuventa e nel suo nuovo posto di lavoro a Kassel nel 2019 (1:12min)

"Ho passato 1 mese e 4 giorni in una prigione libica perché ho cercato di fuggire da questo Paese... ci hanno torturato, ho visto molte persone uccise in questa prigione".

20 anni, della Sierra Leone. Attualmente vive in Germania. Salvato il 29.07.2016 insieme ad altre 696 persone nella prima operazione di salvataggio al largo delle coste libiche. Ha lasciato il suo Paese perché era un tredicenne senza fissa dimora, per sopravvivere vendeva sacchetti di plastica per strada.

Dennis B.
Intervista a Dennis B. nel 2020 e sequenze video del salvataggio della sua barca da parte della Iuventa nel 2016 (3:05min)

"Non era sicuro. In Libia le persone vengono violentate, torturate e uccise. Se qualcuno mi avesse detto che sarei stato rimandato in Libia, avrei preferito morire in mare".

31 anni, della Nigeria. Attualmente vive in Italia ed è in attesa della decisione in merito alla sua domanda di asilo. È stato salvato il 05.10.16 insieme ad altre 30 persone mentre si trovavano a bordo di una fragile imbarcazione di legno. Ha dovuto lasciare la sua casa dopo essere stato vittima di persecuzione politica da parte di un gruppo militante islamista.

Naeim e suo padre
Naeim ricorda il suo salvataggio da parte della Iuventa nel 2017 (1:02min)

"Il nostro viaggio è iniziato a mezzanotte. Il cielo e il mare erano così scuri. Non sapevo cosa fare o dove andare".

30 anni, siriano, vive con suo padre in Germania. È stato salvato il 15.04.2017 insieme ad altre 1000 persone durante una drammatica e massiccia operazione di salvataggio. Ha dovuto lasciare la sua casa per sfuggire alla guerra in Siria.

2. Il cambiamento delle maree

Operazione di soccorso di massa nel weekend di Pasqua 2017. Foto: Moonbird, Sea-Watch

Nel 2016, la presenza della Iuventa sulla scena aveva costretto le autorità italiane ed europee a fare il loro lavoro: salvare le persone e portarle in un luogo sicuro.
L’equipaggio era anche riuscito a creare un rapporto di lavoro con la Guardia Costiera Italiana (GCI) e la Forza Navale Europea (EUNAVFORMED), sotto il cui coordinamento veninvano effettuati i salvataggi. Con il concludersi dell’anno, però, l’equipaggio ha assistito ai crescenti sforzi delle autorità di sottrarsi alle proprie responsabilità e diventare evasivi nella comunicazione con i mezzi civili. Nella stessa zona di ricerca e salvataggio, questo ha reso le condizioni di soccorso sempre più difficili. La nave è rimasta sovraffollata per giorni in attesa di un’imbarcazione di supporto che prendesse a bordo i passeggeri.

Nel frattempo, le navi nella zona ricerca e salvataggio hanno iniziato a cambiare. Mentre un numero minore di mezzi dell’UE era presente sulla scena, la cosiddetta Guardia costiera libica ha intensificato le sue operazioni, assumendo il controllo dei salvataggi o intervenendo nelle operazioni di salvataggio dei civili per ostacolare le attività delle ONG. Miliziani libici armati sono saliti a bordo delle navi civili e le hanno costrette ad allontanarsi dalla zona SAR.

Nonostante queste tattiche intimidatorie, le ONG operanti nella zona SAR sono riuscite a rimanere sul posto e a continuare ad aiutare le persone in difficoltà. Anche se sconosciuto al tempo, questo era solo l’inizio di una lunga strategia di esternalizzazione e di respingimento per procura che avrebbe caratterizzato la rotta del Mediterraneo fino a oggi.

Tattiche mutevoli

Trasferimento notturno dei migranti salvati dalla Iuventa alla Vos Hestia. Foto: credito: Selene Ena

Con l’intensificarsi delle operazioni UE di polizia e sorveglianza nella sua presunta lotta contro i trafficanti nel Mediterraneo centrale, i trafficanti hanno dovuto modificare la loro condotta. Ciò ha comportato:
– Una riduzione del carburante, del cibo e dell’acqua forniti a bordo;
– Un aumento delle partenze in condizioni climatiche avverse;
– Un numero sempre più alto di persone a bordo;
– L’invio simultaneo di un elevato numero di imbarcazioni, che ha portato a un aumento degli episodi di “salvataggio di massa”, con più di venti casi SAR contemporaneamente.
La Iuventa si è trovata regolarmente ad affrontare incidenti di questo tipo. Durante il weekend di Pasqua del 2017, l’equipaggio è stato costretto a lanciare una chiamata di emergenza dopo essere stati lasciati a sé stessi per ore ad assistere 12/14 imbarcazioni in difficoltà.
E’ stato proprio in questo periodo di drammatici cambiamenti negli equilibri di potere e nelle tattiche di polizia e di evasione nel Medirerraneo che le ONG sono emerse come un nuovo bersaglio delle autorità europee.

La criminalizzazione del soccorso in mare
E’ difficile attribuire la criminalizzazione del soccorso in mare a un solo motivo o attore politico. Dai think tank all’establishment di governo dell’UE e dell’Italia, dall’antimafia all’ascesa dei movimenti populisti, da Frontex all’estrema destra, ognuno ha avuto un interesse personale nel distruggere la reputazione delle ONG di soccorso in mare e a impedire il loro operare nel Mediterraneo.

L’Accordo dell’Italia con la Libia

La sfida delle ONG

Il Codice Minniti

3. L'INCHIESTA

La Vos Hestia durante un salvataggio congiunto nel settembre 2016; uno degli informatori, Pietro Gallo, siede a prua del suo RIB

Gli sforzi dello Stato per controllare le operazioni di soccorso in mare non sono iniziati con il codice Minniti. Sebbene l’equipaggio della Iuventa non ne fosse a conoscenza, già prima dell’attacco sferrato dalla GEFIRA, la flotta civile era stata al centro di vaste indagini sotto copertura che avevano coinvolto molteplici forze dell’ordine, supervisionate da un particolare ramo specializzato della magistratura italiana: l’antimafia siciliana.

Oggi, l’antimafia ha giurisdizione sulle frontiere d’Europa, sui punti d’intersezione dei confini nazionali ed europei e sugli apparati transnazionali di gestione delle migrazioni, di controllo delle frontiere e umanitari. In seguito alla primavera araba e all’aumento delle migrazioni attraverso il Mediterraneo, i giudici dell’antimafia e le unità investigative hanno iniziato a riadattare le competenze sviluppate nella lotta alla mafia siciliana. Rivendicando una più generale competenza nella lotta alla criminalità organizzata transnazionale, hanno utilizzato queste capacità per indagare sulle operazioni transnazionali di traffico di droga, armi, petrolio e persone attraverso il Mediterraneo. Queste indagini, note come Operazioni Glauco, si sono basate sulla cattura di sospetti trafficanti in mare e sul loro costringimento a diventare testimoni di Stato. Decine di arresti sono stati effettuati sulla base di un singolo testimone o pentito. Questo approccio ha portato a una serie di disastri, come il recente caso di scambio di persona che ha visto un uomo innocente, Medhanie Mered, essere erroneamente identificato e accusato di essere un boss nel traffico degli esseri umani.

La recente storia delle pratiche investigative dell’Antimafia fornisce un’ulteriore importante visione delle motivazioni istituzionali alla base dell’azione penale nei confronti delle ONG. Nel marzo 2017, Carmelo Zuccaro, procuratore siciliano, ha spiegato ad una Commissione Parlamentare sulle migrazioni che da quando le ONG avevano iniziato a operare nella zona di ricerca e salvataggio al largo della Libia, era diventato molto più difficile per le squadre antimafia condurre le indagini sui cartelli del traffico catturando i sospetti trafficanti. Inoltre, le ONG non erano disposte ad assumere un ruolo di polizia per le autorità italiane. Senza volerlo, le ONG di soccorso hanno compromesso una massiccia e costosa operazione di polizia transnazionale.

Non è un caso che nella stessa audizione Zuccaro abbia chiesto al governo di stanziare più fondi e personale per un’operazione di polizia avviata di recente e incentrata specificamente sulle attività delle ONG.

Il dossier

Poiché le indagini sulle ONG sono state condotte dall’apparato di polizia e giudiziario dell’antimafia, molte delle informazioni contenute in esse sono riservate. Sebbene noto che nei mesi di Maggio e Giugno 2017 sono state condotte indagini separate su Iuventa, Sea-Watch e Proactiva da almeno 3 diverse magistrature, quello della Iuventa è stato l’unico fascicolo di polizia pubblico di quel periodo. Il dossier ha permesso di ricostruire le tattiche della polizia confluite nel fascicolo e, con esse, i connessi interessi dello Stato italiano, dell’UE e della destra in ascesa.

Gli informatori
Nel settembre 2016, 12 navi appartenenti alle ONG erano operative nella zona di ricerca e salvataggio. Tra queste vi era la Vos Hestia, una nave noleggiata da Save the Children e gestita da un mix di personale umanitario, equipaggio con contratto e agenti di sicurezza, questi ultimi assunti tramite una piccola società di sicurezza privata, la IMI. Anche se all’epoca nessuno lo sapeva, il fondatore dell’IMI, Christian Ricci, aveva legami con il movimento Generazione Identitaria, mentre gli agenti a bordo erano sostenitori di politici italiani di destra.
Tre di questi agenti, Floriana Ballestra, Pietro Gallo e Lucio Montanino, sono coloro che avviarono l’indagine sulla Iuventa. Essi, il 25 Settembre, hanno inviato una e-mail all’AISE (servizi segreti italiani), sostenendo di avere prove di una possibile collusione tra la Iuventa e i trafficanti di esseri umani. Sebbene gli agenti non abbiano mai ricevuto una risposta dai servizi segreti italiani, gli stessi hanno contattato Matteo Salvini, il quale ha risposto immediatamente.
Durante il loro successivo intervento nella zona di ricerca e salvataggio, gli agenti hanno dato alla voce di destra più potente d’Italia un filo diretto con il cuore della flotta civile. Due anni e mezzo dopo, nel gennaio 2019, il pentito Pietro Gallo ha espresso il suo rammarico per essere stato la spia di Salvini e ha lasciato intendere di essere stato convitnto dalla promessa di un lavoro. Lo stesso ha inoltre ammesso di non avere prove circa il rapporto tra le ONG e gli scafisti.
Il 14 ottobre 2016, dopo essere rientrati dal loro impiego, gli agenti hanno presentato una denuncia ufficiale alla magistratura trapanese, ponendo così la Iuventa al centro di un’indagine durata un anno e che ha coinvolto diverse forze dell’ordine, tra cui lo SCO, un ramo investigativo della polizia italiana specializzato nella criminalità organizzata. Nel corso dei mesi successivi, la squadra investigativa ha destinato al caso enormi risorse, tra cui intercettazioni telefoniche, microspie e un agente sotto copertura.

Le tattiche della polizia

In alcuni casi, le tattiche di polizia degli inquirenti sono costate delle vite. Il 4 maggio 2017, il tempo era buono al largo della Libia e le persone stavano cogliendo l’occasione per affrontare la traversata. Un flusso costante di richieste di soccorso proveniva dalla zona di salvataggio. Sotto il coordinamento dell’MRCC, centinaia di persone sono state ammassate sul ponte della Iuventa in attesa di essere trasbordate su navi più grandi che potessero portarle in un luogo sicuro in Italia. Ma l’MRCC aveva altri piani. Dopo aver ordinato il trasbordo di quasi tutti i passeggeri, hanno insistito affinché cinque persone rimanessero a bordo per essere portate dalla Iuventa a Lampedusa, raggiungibile in un giorno di navigazione. Nonostante le proteste, data l’impossibilità di garantire la sicurezza delle persone a bordo e l’urgente bisogno della Iuventa nella zona di ricerca e salvataggio, l’MRCC ha minacciato ritorsioni in caso di mancato rispetto dell’ordine. È probabile che centinaia di vite siano andate perdute a causa dell’insolita richiesta dell’MRCC, che ha allontanato la nave dalla zona di salvataggio in uno dei giorni di maggior traffico in mare.
(Conversazione via e-mail con l’MRCC)
Ci sono voluti mesi prima che si scoprissero i veri obiettivi dell’MRCC. Mentre la nave era in porto a Lampedusa e l’equipaggio veniva interrogato, gli investigatori della polizia sono saliti a bordo e hanno messo una cimice sul ponte. Le registrazioni di quella microspia, insieme alle intercettazioni telefoniche dei membri dell’equipaggio, costituiscono gran parte del dossier della polizia contro i membri dell’equipaggio della Iuventa.

Due settimane dopo, la polizia ha negoziato un accordo con i servizi di sicurezza IMI, il datore di lavoro dei tre agenti di sicurezza iniziatori dell’indagine. L’IMI ha accettato di piazzare un agente sotto copertura, Luca Bracco, a bordo della Vos Hestia di Save the Children, spacciandosi da personale di sicurezza. Sono state proprio le osservazioni dell’agente sul salvataggio della Iuventa dal ponte della Vos Hestia ad aver fornito la maggior parte delle presunte prove forensi contro l’equipaggio.

Il sequestro

Sequestro nel porto di Lampedusa il 02.08.2017

Nell’agosto 2017, l’MRCC ha dato il via a un’analoga caccia ai fantasmi quando ha incaricato di soccorrere un piccolo gommone in acque internazionali al largo delle coste libiche. All’arrivo, una nave della Guardia Costiera italiana aveva già completato il salvataggio.

Caso molto raro nella traversata del Mediterraneo, il gommone aveva solo due passeggeri, entrambi siriani. Alla Iuventa è stato chiesto di prenderli a bordo e di fare rotta verso l’Italia per consentire alla nave della Guardia Costiera di continuare a pattugliare la zona di ricerca e salvataggio per trovare altre imbarcazioni in difficoltà. La nave accettò, contando di incontrarsi con un’altra imbarcazione diretta in Italia per trasbordare gli uomini salvati, in modo da poter tornare nella zona di ricerca e salvataggio. Ciò sarebbe stato conforme ai protocolli standard. Eppure, ogni nave a cui è stata richiesta assistenza lungo il percorso ha fornito un’ improbabile giustificazione per rifiutare il trasbordo. Dopo quattro giorni di attesa per il trasferimento, la Iuventa è stata inviata per un’altra ricerca, questa volta di un’imbarcazione in difficoltà a sud di Lampedusa.

Nonostante all’imbarcazione non fosse stato assegnato un numero ufficiale, come da protocollo, le operazioni di ricerca sono state comunque effettuate. Moonbird, un aereo da ricognizione gestito da Sea Watch e da Humanitarian Pilots Initiative, si è offerto di unirsi alle ricerche. Sebbene l’aereo avrebbe potuto coprire l’area di ricerca in poche ore, l’IMRCC ha rifiutato l’offerta. A quel punto, l’equipaggio non ha avuto altra scelta che seguire la pista di ricerca verso nord, in direzione di Lampedusa. Quando l’IMRCC ha deciso di annullare le ricerche, la Iuventa era già a poche miglia dall’isola. Fu richiesto e rifiutato un rendez-vous con la Guardia Costiera per prelevare i passeggeri. Il motivo di tale rifiuto è poi apparso chiaro una volta che la Iuventa ha attraversato le acque territoriali. L’equipaggio della Iuventa era finito dritto in un’imboscata. Cinque navi italiane hanno circondato la nave, ordinando all’equipaggio di entrare in porto. Analizzando l’evento a posteriori, sembrerebbe che entrambe le richieste di soccorso annunciate dall’MRCC siano state inventate per costringere la nave a entrare in porto. Il mattino seguente, le autorità hanno perquisito la nave alla ricerca di armi – che non furono trovate – e hanno emesso un mandato di sequestro per la Iuventa unitamente a un’accusa di 150 pagine per collusione con i trafficanti.

L’accusa

Il sequestro della Iuventa si basa sulle denunce legate a tre operazioni diverse. La prima, riferita dagli agenti di sicurezza dell’IMI, ha dato il via alle indagini sulle operazioni della Iuventa. Le altre due sono emerse da una missione sotto copertura condotta dall’agente Luca Bracco, imbarcato a bordo della Vos Hestia come membro del personale di sicurezza dell’IMI, e riguardano due distinti episodi di SAR, entrambi avvenuti il 18 giugno 2017. La relazione della counter-forensics offre una ricostruzione dettagliata di tali episodi.

4. LA CONTROPROVA

Le accuse mosse contro l’equipaggio della Iuventa riguardano tre diverse operazioni di salvataggio: la prima, avvenuta il 10 settembre 2016, la seconda e la terza il 18 giugno 2017. I team di Forensic Architecture (FA) e di Forensic Oceonography (FO) hanno lavorato insieme nel 2018 per esaminare i resoconti di quegli eventi, presentati dalle autorità italiane.

“La nostra analisi suggerisce che l’equipaggio della Iuventa non ha restituito barche vuote ai trafficanti, come è invece stato accusato. Né sembra che abbia comunicato con qualcuno potenzialmente connesso con le reti di traffico, come suggerito dalle autorità italiane”. Charles Heller e Lorenzo Pezzani, Forensic Architecture.

Caso 1 1

10.09.2016

Accusa

...l'equipaggio della Iuventa ha soccorso 140 persone in movimento provenienti dalle acque territoriali libiche. Dopo averle tratte in salvo sulla Iuventa, la barca su cui avevano effettuato il viaggio è ripartita verso le coste libiche con due uomini a bordo. Questo dovrebbe dimostrare che la Iuventa lavorava con i trafficanti e che c'è stato un diretto "passaggio di consegne", anziché una risposta a una richiesta di soccorso.

Caso 2 2

18.06.2017

Accusa

La Iuventa è accusata di aver restituito 3 imbarcazioni ai trafficanti libici dopo aver salvato i passeggeri in difficoltà. Una di queste sarebbe stata utilizzata nuovamente il 26.6.17.

Caso 3 3

18.06.2017

Accusa

Nel corso di un incontro con i trafficanti intorno a un'imbarcazione di migranti, si suppone che un "gesto della mano come un saluto" dimostri la comunicazione e quindi un rapporto di mutuo consenso precedentemente stabilito tra la Iuventa e i trafficanti.

10.09.2016

Controprova

Le immagini che hanno tracciato il gommone durante il giorno dimostrano che l'imbarcazione è stata data alle fiamme alle 18.40. Pertanto il gommone è stato distrutto seguendo la procedura standard e non è stato riportato in Libia.

18.06.2017

Controprova

Controprova 1 Le immagini che hanno tracciato il gommone durante il giorno dimostrano che l'imbarcazione è stata data alle fiamme alle 18.40. Pertanto il gommone è stato distrutto seguendo la procedura standard e non è stato riportato in Libia. 18.06.2017 Controprova 2 La ricostruzione spaziale e le immagini di fonti indipendenti che seguono il gommone dimostrano che il RIB di Iuventa ha rimorchiato il gommone a nord verso Iuventa e non lontano dal gommone in direzione della costa libica. 18.06.2017

18.06.2017

Controprova

Controprova 3 Le registrazioni audio dimostrano che la squadra di soccorso di Iuventa comunicava solo con le persone in movimento a bordo del gommone e non con i pescherecci.

Full Research by Forensic Architecture

La gran parte del dossier della polizia, tuttavia, non riguarda i fatti in cui Iuventa avrebbe violato la legge. Piuttosto, comprende “prove a sostegno” raccolte da telefonate intercettate e trascrizioni audio della cimice piazzata sul ponte della nave nel maggio 2017. In parte, queste servono a delineare la presunta ostilità della Iuventa nei confronti dell’autorità dell’MRCC, la sua riluttanza a denunciare i sospetti trafficanti alla polizia, la presunta imprudenza dell’equipaggio nell’avvicinarsi o nell’entrare nelle acque territoriali libiche – impegni politici o pratiche operative che aggraverebbero i sospetti di negligenza. Ma molte delle trascrizioni allegate offrono anche lunghe e spesso incoerenti opinioni politiche del personale di sicurezza dell’IMI (di cui risponde Matteo Salvini) e frammenti scelti delle conversazioni dell’equipaggio durante i turni di guardia in coperta riguardanti le loro origini, convinzioni e pratiche politiche di sinistra. L’inclusione di queste conversazioni, e l’attenzione dell’investigatore nei loro confronti, suggeriscono che ciò su cui si stava indagando non erano solo i presunti reati di un singolo equipaggio in un singolo caso, ma un mondo politico della sinistra radicale.

5. Epilogo

Le persone soccorse a bordo della Iuventa; i detriti del gommone bruciano sullo sfondo Foto: Cesar Dezfuli

Il caso della Iuventa ha segnato il culmine di una battaglia in corso per il Mediterraneo tra strumenti di dissuasione, polizia e sfruttamento, da un lato, e l’autonomia della migrazione e i mondi di solidarietà che essa ispira, dall’altro. La Iuventa è stata la prima nave a essere sequestrata e il suo caso quello durato più a lungo. Nel corso degli ultimi anni, le autorità hanno parzialmente raggiunto l’obiettivo di svuotare il Mediterraneo dalle unità di salvataggio attraverso una serie di misure giudiziarie e legislative e di tattiche intimidatorie. È impossibile stimare quante persone siano annegate o siano state riportate nell’inferno dei centri di detenzione libici a causa di queste misure.

Dichiarazione dell’equipaggio:

“Nonostante gli sforzi per smantellare la flotta civile, le guerre di salvataggio non sono finite. Finché le persone in movimento continueranno a sfidare la pericolosa traversata contro ogni probabilità, la flotta civile troverà il modo di far salpare le proprie navi per andargli incontro. Anche se le nostre navi vengono sequestrate e i nostri marinai perseguitati, altri troveranno ostinatamente il modo di uscire dal porto per raggiungere la zona SAR. Questa lotta continua.

Nel frattempo, noi soccorritori delle ong non siamo i soli ad affrontare questo tipo di accuse.
Tra noi ci sono innumerevoli persone in movimento criminalizzate per aver aiutato altre persone in movimento che si trovavano in difficoltà o per essere state costrette a condurre imbarcazioni che le trasportavano via mare verso l’Europa. I tribunali greci sono soliti condannare i conducenti delle barche a una media di 44 anni di prigione e 370.000 euro di multa, in seguito ad udienze di circa 30 minuti. Le storie di queste persone sono raccontate raramente, e il loro coraggio altrettanto raramente celebrato.

In tutta Europa e oltre, da Lesbo a Calais, da Tangeri a Bardonecchia, dalla Valle della Roja in Francia alla Danimarca, centinaia di uomini e donne sono sotto processo per “crimini di solidarietà”. Per aver offerto cibo, riparo o vestiti a persone in movimento.

Soprattutto perché noi soccorritori bianchi siamo stati lodati per il nostro umanitarismo, siamo costretti a riconoscere il nostro privilegio e la nostra responsabilità in una società globale costruita sulla colonizzazione, lo sfruttamento e la razzializzazione delle persone di colore.

Il caso Iuventa non può essere compreso appieno al di fuori di questo contesto di razzismo sistematico, di cui la frontiera è solo un’iterazione. Ma abbiamo anche agito sapendo che chi detiene il potere mette alla prova i suoi strumenti di dominio prima sui membri più deboli della società, per poi estenderli al resto di noi. I politici che prendono di mira, fanno da capro espiatorio e sfruttano le persone in movimento, lo fanno per sostenere un mondo violento e diseguale che alla fine danneggia tutti. La criminalizzazione della solidarietà mira a precludere le forme di riconoscimento e di alleanza che la sua realizzazione comporta. Rispecchiano il terrore dei leader europei per ciò che potrebbe accadere se i loro stessi cittadini e le persone in movimento facessero fronte comune contro la Fortezza Europa, mostrandola per quello che è: un sistema che deruba ciascuno di noi delle proprie libertà, della sicurezza e del diritto a un futuro senza sfruttamento. Nella lotta per preservare i nostri legami di solidarietà c’è l’ostinata convinzione che questi sistemi di dominio possano essere superati e che si possa immaginare un mondo diverso se, e solo se, combattiamo l’uno accanto all’altro”.

Testo di Chloe Haralambous